Da un paio di anni suono il pianoforte con il gruppo Tactusrosa, e mi
occupo dell’organizzazione dei concerti. Con la band replichiamo le musiche dei
Beatles e dei Pink Floyd in una versione rielaborata e originale. Il gruppo è
composto da una decina di musicisti, tra cui un quartetto d’archi, un piano,
una chitarra acustica, le percussioni, un contrabbasso, una voce maschile e una
femminile. La nostra formazione ci permette quindi di offrire al pubblico uno
spettacolo originale dalle atmosfere soft. Lo scopo del nostro lavoro è quello
di riproporre i brani interpretati in modo delicato, attraverso sonorità pop rock
e cover arrangiate in versione acustica-sinfonica. Inoltre, il nostro obiettivo
è quello di unire generazioni diverse, mettendo sullo stesso palco due mondi
musicali differenti fra loro.
Proporre i pezzi dei Beatles e dei Pink Floyd nello stesso spettacolo non è
da tutti. Navigando su Internet mi risulta che i Tactusrosa siano gli unici al
mondo a proporre questo progetto, che è originale anche per quanto riguarda gli
arrangiamenti personalizzati. Tuttavia, devo ammettere che durante gli
spettacoli mi aspettavo una risposta diversa da parte del pubblico: con le
performance in teatro abbiamo sempre fatto il pienone in termini di numeri,
questo denota un certo interesse da parte dello spettatore, ma credevo che
eseguire i brani di due gruppi che hanno fatto la storia della musica e
cambiato la società nel secondo novecento, potesse unire un maggior numero di
spettatori e riuscire a trasportarli verso un viaggio singolare fatto di
ricordi intensi.
Prima di questa splendida esperienza musicale avevo già condiviso la
passione per i Pink Floyd, suonando in un altro gruppo tribute. Per alcuni anni
tutta la mia attenzione fu rivolta esclusivamente al gruppo londinese,
specialmente verso il tastierista Rick Wright che, durante lo studio e l’ascolto
delle sue performance, diventava ogni giorno di più il mio idolo ed esempio da
seguire.
Come tastierista di una tribute band, riprodurre le sonorità e la tecnica
di Rick è cosa non facile. I pezzi non sono impossibili da eseguire, ma le
sonorità così piene di sfumature, sono uniche e difficili da non rendere
scontate. Il suo sound è riconoscibile e indimenticabile. I suoi pad, i suoi
tappeti caldi e pieni di sensibilità restano un esempio di espressività da
imitare. Le sue mani di seta, che sfiorano la tastiera con uno stile mai
scontato, diventano indelebili nelle menti delle persone.
Durante lo studio del brano che avrei dovuto replicare, i miei sforzi si
rivolsero tutti all’interpretazione musicale. Non mi era possibile riprodurre
le sonorità di Wright, ma potevo avvicinarmi al musicista come persona, solo in
quel modo sarei riuscito a conferire al pezzo il giusto calore e ad entrare
nella parte come un attore entra in un ruolo.
A differenza degli altri musicisti dei Pink Floyd, Rick non è poi così
presente su Internet. Compaiono molte foto, immagini e video, ma non ha un sito
ufficiale. Per riuscire a conoscere la strumentazione usata da questo musicista
durante i vari tour e in studio, ho dovuto effettuare una paziente ricerca in
numerosi forum e su YouTube. Dai risultati mi sono subito accorto che buona
parte di questa strumentazione sarebbe stata per me impossibile sia da
trasportare logisticamente durante gli spettacoli sia da avere dal punto di
vista economico. Quindi, dovevo adattarmi con quella che avevo a disposizione,
una strumentazione che conosco bene e si adatta in modo ottimale al genere
musicale: Kurzweil K2000, N264 della Korg, expander Yamaha MU 50, micropiano
della Kurzweil, due master keyboard interfaccia USB/MIDI.
Con questo materiale
so dove posso arrivare e come ottenere i suoni, gli effetti particolari e le
sonorità più appropriate. Per modificare i preset e preparare i suoni delle
varie tastiere ci voleva molto tempo, come supporto per l’ottenimento delle
sonorità prestabilite facevo uso del midi e del computer. Ben presto questa mia
abitudine era diventata qualche volta motivo di scherno da parte di alcuni
musicisti dell’ex gruppo: non riuscivano a capire quanto lavoro c’era alle
spalle. La mia attenzione, comunque, era rivolta al risultato finale, che doveva
soddisfarmi senza mezzi termini. Avevo creato un mio modo di lavoro, tutte le
tastiere e gli expander erano collegati a una interfaccia midi, e attraverso
questa, i program change di tutte le
tastiere si resettavano e cambiavano in ogni brano una volta richiamato il file
da Cubase, software che appartiene
alla famiglia dei sequencer
audio-midi, e in grado di gestire l’esecuzione di più tracce audio-midi
contemporaneamente. Il più delle volte eseguivo i brani con cinque o sei suoni
associati fra loro.
Dalla mia postazione al mixer di sala andavano solamente un canale left e
un right, con l’obiettivo di facilitare il lavoro del fonico e di tenere sotto
controllo i suoni che miscelavo direttamente io durante la performance. Quando
mi aiutavo con le tracce midi, un expander
era dedicato solamente al batterista a cui mandavo un click in cuffia. I brani
erano studiati e riarrangiati in modo che, in caso di guasto del computer,
sarebbero stati in piedi anche con i suoni reali eseguiti dal vivo. Oltre al program change nelle tracce midi, provai
alcune volte a inserire il settaggio dei volumi, ma questo non mi soddisfaceva,
perché i brani erano vivi e ad ogni performance le tastiere ed expanders avevano bisogno di un volume
diverso, un amalgama diretto, che poteva nascere solamente al momento della
performance, mai uguale a quella precedente. La mia idea era quella di essere
presente nel brano, ma senza mai farmi notare o essere eccessivo. Insomma, c’è
ma non si vede. Questa delicatezza e riservatezza musicale corrispondeva fra l’altro
al modo di far musica e alla personalità di Rick Wright.
Quattro erano i Beatles e quattro erano i Pink Floyd. La maggior parte dei
critici, ma anche dei fan, ha considerato Lennon-McCartney da una parte e Gilmour-Waters dall’altra
le due coppie principali dei rispettivi gruppi, le due menti insostituibili.
Tra le due coppie, però, nacquero col tempo conflitti e tensioni che generarono
nei singoli soggetti la voglia d’indipendenza, quella che portò entrambi i
gruppi allo scioglimento.
Questi componenti furono gli autori della maggior parte dei pezzi, i più
carismatici, ma penso che George Harrison e Rick Wright furono, però, le due
figure determinanti e simili all’interno dei gruppi. Entrambi avevano uno stile
musicale del tutto personale, anche se il loro contributo al gruppo veniva
considerato solo in modo superficiale: spesso venivano sminuiti e rimasero
quasi sempre in ombra rispetto al duo. In controtendenza rispetto al parere
della critica, penso che questi due musicisiti avessero uno stile
inconfondibile, tale da porli in primo piano. Basta domandarsi che cosa
sarebbero stati i due gruppi senza While
my guitar gently weeps, Here comes
the sun, Something, oppure Great gig in the sky, Us and them. Che significato avrebbe
avuto l’album Wish you were here
senza l’impronta decisiva di Rick Wright?
Harrison e Wright furono per certi versi due personaggi alquanto simili:
caratterialmente erano persone modeste, gentili e riservate. Rick musicalmente
aveva approfondito la propria tecnica musicale attraverso la conoscenza di
scale e sound indiani, inoltre, non erano rari i brani in cui si abbandonava a
sonorità ispirate alle tradizioni musicali orientali. Anche George era un vero
appassionato ed estimatore della cultura e della musica indiana, dalle quali fu
influenzato durante l’arrangiamento dei brani in cui è l’autore.
A mio giudizio, entrambi i musicisti possono essere riconosciuti come la
sostanza collante che teneva uniti i due gruppi. Lo testimonia il fatto che dal
momento in cui Harrison svelò il suo bisogno di iniziare un cammino da solista
e Rick Wright fu licenziato per motivi legati alla droga, i rapporti dei
rispettivi gruppi si deteriorano fino a dividersi poco dopo.
Proprio perché riconosco a questi due artisti la loro importanza
indispensabile all’interno delle band, ritengo vergognoso che dopo la morte di
Rick Wright, gli altri tre filibustieri dei Pink Floyd non si siano degnati di
dedicargli un concerto in suo onore o un evento qualunque per celebrare la
scomparsa di un grande protagonista della musica del secondo novecento.
Questa mancanza evidenzia in modo chiaro la differenza fondamentale che
esiste fra le due formazioni: i Beatles uniscono, emanano gioia, i Pink Floyd
esercitano tutt’altro effetto.
In questi due anni di concerti con i Tactusrosa, mi sono fatto un’opinione
sulle differenze che contraddistinguono i fan dei Beatles da quelli dei Pink
Floyd. La prima è ovviamente dovuta al genere musicale: le canzoni dei Beatles
sono più nazional-popolari, più orecchiabili, e i quattro ragazzi di Liverpool
erano capaci di passare dal rock and roll stile anni Cinquanta al rock melodico
con testi sentimentali e leggeri.
I Pink Floyd, invece, esplorarono galassie musicali diverse, affrontando
inizialmente un rock psichedelico, in certi momenti duro da ascoltare, fino ad
arrivare a un rock progressivo più vicino alla gente. Le musiche, complesse e
poco orecchiabili rispetto a quelle dei Beatles, sono inoltre affiancate da
testi non sempre facilmente comprensibili, notevolmente impegnati e nati dalla
mente contorta di Waters e soci.
Le differenze tra i due gruppi non si esauriscono con quelle relative al
genere musicale, ma spaziano anche al rapporto tenuto con i propri fan. I
Beatles, infatti, si mostravano volentieri in compagnia dei propri ammiratori,
specialmente con le donne che si strappavano i capelli e gridavano a
squarciagola in preda all’euforia. Sorridenti, carini, gioivano quando
condividevano i loro momenti con il pubblico. I Pink Floyd, invece, rimanevano
schivi, non erano propensi all’incontro con i fan, dimostrandosi più
interessati alla propria musica. D’altro canto, il fenomeno incredibile,
sociologico e culturale della Bealtles-mania,
l’adorazione incondizionata che comincò negli anni ’60 e continua tuttoggi si manifestò solamente
con I Beatles, i quali riuscirono a scatenare tra i loro fans un fanatismo
senza eguali. Non c’è mai stata una vera e propria Pink Floyd-mania.
Trovo che i Beatles si possano considerare più adatti alle donne, perché i
loro brani sono più ritmati e dolci, rispetto a quelli dei Pink Floyd; era
bello vedere “Gli Scarafaggi” districarsi, suonare e divertirsi sul palco tutti
insieme e rendere partecipe il pubblico. I loro brani infatti inducono al
movimento, al ritmo, al ballo, alla spontaneità, ma anche alla delicatezza, a
mettersi in gioco, e fanno sognare. Al contrario, i pezzi dei Pink Floyd sono
composti per lo più da melodie psichedeliche e spaziali, e da testi più
impegnati. È più facile vedere una ragazza che canta Let it be, che Money o Time.
Su Internet è evidente una differenza sostanziale anche tra le informazioni
che si possono trovare sui Beatles e quelle rilevabili sui Pink Floyd. Nelle
varie pagine dedicate alla band londinese si possono trovare video originali e
non, foto dei loro concerti, fotomontaggi con l’immancabile triangolo, lune,
stelle e pianeti ma, gira e rigira, si tratta sempre del solito materiale. Mai
una volta che si veda una foto in cui i Pink Floyd vengono immortalati mentre
saltano, come in alcune famose foto dei Beatles. Esistono vari portali
stranieri dedicati alla band londinese, ma il sito ufficiale italiano sui Pink
Floyd da molto tempo dovrebbe essere rivisto, eppure è ancora là.
Il sito Hey you, invece, sembra essere
abbastanza aggiornato e se ne possono ricavare maggiori informazioni.
Nel corso della mia ricerca nel web, mi sono chiesto perché non esista una
pagina dove tutti gli appassionati e le varie cover band dei Pink Floyd si
possano trovare assieme e condividere i propri eventi. Perché non è stato
creato uno spazio che tratti i Pink Floyd a livello culturale, che festeggi i
compleanni dei loro musicisti, che parli dei loro figli e delle varie mogli,
insomma di gossip, visto che va tanto in voga? Ebbene, non esiste nemmeno una
pagina dove ognuno possa mettere in mostra i propri dischi, i cimeli, le
magliette e i gadget. Forse l’unica interpretazione in grado di rispondere a
queste domande e a questa mancanza è che tra i vari gruppi tribute dei Pink Floyd
esiste un’eccessiva concorrenza e il timore di un continuo confronto tecnico,
determinato anche dalla convinzione di sapere fare questo mestiere meglio degli
altri.
Trovo che sia giusto il fatto che tutti i gruppi cerchino di migliorarsi,
ma su Internet ho notato spesso che nelle discussioni all’interno dei forum le
varie band si accusano di aver copiato l’una dall’altra, o le vedo sottolineare
che il suono di un determinato chitarrista è più simile a quello di Gilmour
rispetto a quello dell’altro gruppo cover o che una corista è migliore di
un’altra su Great gig in the sky.
Eppure, in fin dei conti stiamo omaggiando i Pink Floyd, stiamo scimmiottando e
copiando dagli originali, giusto? Allora perché tutta questa competizione? Il
merito dei Pink Floyd è dei Pink Floyd. Bravo comunque chi propone qualcosa di
nuovo.
Con i Beatles la faccenda è ben diversa. Nel web sono presenti alcuni siti
ben curati che, oltre a diffondere i filmati originali e le foto di repertorio,
organizzano eventi, mostre culturali, pubblicano foto di cimeli, dischi
introvabili, chitarre e strumentazioni del gruppo. Durante il corso dell’anno
vengono organizzati i Beatles Day, giornate, o addirittura un’intera settimana,
in cui le migliori Beatles band italiane, gli artisti, i collezionisti di
strumenti vintage, di dischi in
vinile, di CD e memorabilia beatlesiane e importanti ospiti a sorpresa
coinvolti nella storia dei Beatles partecipano e danno un contributo a onorare
la band di Liverpool. Ad alcune manifestazioni alle quali ho partecipato è
stato bello assistere al fatto che, durante la stessa serata, sul palco si
dividono un tribute ai Beatles in quattro/cinque gruppi, ovviamente con
repertori diversi e sonorità che variano dall’originale, fino a stravaganti
riarrangiamenti. Gli spettacoli erano poi contornati da mostre beatlesiane che
raccoglievano numerose foto, autografi, manifesti, gadget e tanto altro sulla
band di Liverpool.
Amo la musica dei Pink Floyd, ma tutto quello che gira intorno a loro ha
sempre scatenato in me una grande tristezza. Con i Tactusrosa siamo riusciti a
far convivere sullo stesso palco le due identità musicali dei Beatles e dei
Pink Floyd, ma per quanto riguarda il pubblico la strada è ancora lunga da
percorrere. A fronte di tutte le manifestazioni che esistono attorno alle
celebrazioni beatlesiane e alla risposta ancora viva e reattiva dei loro fan,
mi domando per l’appunto se ci saranno mai degli eventi simili per tutti gli
appassionati e i musicisti che hanno qualcosa di diverso da proporre, senza
guardare se l’orticello del vicino è migliore del suo.
di Sandro Benetti
**Foto courtesy by RRR Remi Real Rock
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